8 - Col di Prà: lo spigolo nord dell'Agnèr

. Inserito in Itinerario geologico valle di San Lucano

 8 Col di Prà (843) - Lo spigolo nord dell’Agnèr

“si erge con impeto pauroso -dal fondovalle per contemplarlo bisogna torcere la testa in su- l’architettura massima di tutte le Dolomiti. È il monte Agnèr, che incombe con un apicco di un chilometro e mezzo (e di fronte, appena oltre il torrente più modeste ma non meno allucinanti, le muraglie delle Pale di San Lucano stanno).

La cima, in fatto di statura non è gran che, neppure 2900 metri. Ma quale altra cattedrale delle Alpi ha un’abside simile? Quando fiammeggia nel tramonto e nel moto delle bianche nubi sembra innalzarsi lentamente, si stenta quasi a credere che una tale cosa possa esistere.”

Dino Buzzati. “Cordata di tre” in «Corriere della Sera», 23 giugno 1956.

Spigolo Nord dell’Agnèr

Lo spigolo Nord dell’Agnèr con i suoi 1550 metri di altezza rientra a pieno titolo fra le pareti che hanno fatto la storia dell’alpinismo dolomitico e non solo e si contende con la Nord dell’Eiger (Svizzera) il titolo di parete più alta delle Alpi.

Vediamo ora di capire come mai proprio qui, si possa essere formata una tale struttura. Le pareti rocciose particolarmente inclinate, al limite della verticalità, si sviluppano solo in corrispondenza di rocce dure, tenaci, compatte, resistenti all’erosione. È abbastanza comune ritrovare pareti verticali di qualche centinaio di metri ma la frequenza di pareti molto potenti diminuisce con l’aumentare dell’altezza. Perché si sviluppino pareti gigantesche è necessario che le rocce resistenti posseggano spessori adeguati.

La Valle di San Lucano è scavata nel nucleo della più grande fra le scogliere dolomitiche (Pale di San Martino, Pale di San Lucano, Civetta) contraddistinta da una storia geologica peculiare rispetto alle altre.

Verso la fine del periodo Anisico (243 milioni di anni fa) la Regione Dolomitica era divisa in due da una faglia diretta ubicata ad est del M. Civetta (Linea del Civetta), ad oriente si estendeva un’ampia area bacinale, verso occidente dominava una piattaforma carbonatica attraversata da strette aree bacinali. Tutta la regione era coinvolta in un processo di lento sprofondamento (subsidenza), ma l’abbassamento del fondale non era uniforme, così mentre nelle zone contigue si accumulavano alcune decine di metri di calcari di piattaforma (Formazione del Contrin), nell’area Agnèr, Pale di San Lucano, Civetta, interessata da uno sprofondamento molto più veloce, si depositarono più di 500 metri di sedimenti carbonatici da cui si originarono calcari e dolomie massicciamente stratificati. Un aumento improvviso del livello marino (trasgressione) instaurò su tutta la regione condizioni di mare aperto. Solo su alcune aree poco profonde della piattaforma cominciarono ad attecchire comunità di organismi fissatori di carbonato di calcio, principalmente batteri e subordinatamente alghe, spugne e coralli. Il tasso di subsidenza era molto elevato ma la nuova piattaforma cresceva di pari passo con lo sprofondamento, rimanendo nella fascia di elevata produttività carbonatica, in questo primo periodo la crescita verticale (aggradazione) era nettamente prevalente su quella orizzontale (progradazione). I numerosi nuclei iniziali si fusero in un unico edificio che in tre-quattro milioni di anni raggiunse uno spessore di oltre un migliaio di metri, nettamente superiore rispetto a quello delle altre scogliere Dolomitiche.

In conclusione la spessa pila di rocce dure nelle quali è scolpito lo spigolo nord dell’Agnèr è il prodotto dell’elevato tasso di subsidenza che ha coinvolto, fra la fine dell’Anisico e l’inizio del Ladinico, in particolare questa specifica area delle Dolomiti.

Ricostruzione dell’assetto palogeografico dell’Area Dolomitica alla fine dell’Anisico, la linea del Civetta separa la zona di alto strutturale (ovest) dove si sedimenta inizialmente la Formazione del Contrin e successivamente la Formazione dello Sciliar dall’area ribassata (est) dove si depositano formazioni bacinali (dis. D.G.). Ricostruzione dell’assetto palogeografico dell’Area Dolomitica alla fine dell’Anisico, la linea del Civetta separa la zona di alto strutturale (ovest) dove si sedimenta inizialmente la Formazione del Contrin e successivamente la Formazione dello Sciliar dall’area ribassata (est) dove si depositano formazioni bacinali (dis. D.G.).

Da Col di Prà verso l’Agnèr da sinistra: Spiz Piciol, Spiz d’Agnèr Nord e Spiz d’Agnèr Sud, Agnèr, Torre Armena e Lastei d’Agnèr, in primo piano a destra il Col Negro. L’immane pilastro dell’Agnèr è separato dallo Spiz e dalla Torre Armena da due faglie trascorrenti verticali che hanno favorito i processi di erosione selettiva. A sinistra dello spigolo si estende il piccolo circo glaciale sospeso del Van de Mez che ospita il Bivacco Cozzolino (foto D.G.). Da Col di Prà verso l’Agnèr da sinistra: Spiz Piciol, Spiz d’Agnèr Nord e Spiz d’Agnèr Sud, Agnèr, Torre Armena e Lastei d’Agnèr, in primo piano a destra il Col Negro. L’immane pilastro dell’Agnèr è separato dallo Spiz e dalla Torre Armena da due faglie trascorrenti verticali che hanno favorito i processi di erosione selettiva. A sinistra dello spigolo si estende il piccolo circo glaciale sospeso del Van de Mez che ospita il Bivacco Cozzolino (foto D.G.).

Schizzo geologico del Monte Agnèr (dis. D. G.). Schizzo geologico del Monte Agnèr (dis. D. G.).

La Frana del Piz

La valle di San Lucano è caratterizzata da dislivelli enormi e, conseguentemente, è stata interessata fin dalla sua origine, da fenomeni franosi. I macereti delle frane antiche, cadute subito dopo il ritiro dei ghiacciai, sono in buona parte sepolti al di sotto dei depositi alluvionali e detritici recenti e attuali, ma si può riconoscere abbastanza facilmente un imponente deposito di frana alla base delle Pale dei Balconi (Monte Piz) esso ha le caratteristiche di un D.G.P.V. (Deformazione Gravitativa Profonda di Versante), si tratta di una enorme massa (volume stimato attorno a 100 milioni di metri cubi) in apparenza compatta (ma delimitata da fasce di roccia fratturata); la massa è fuori asse rispetto alla conformazione originaria ad U della valle e contornata verso l’alto da una nicchia semicircolare.

Le Deformazioni Gravitative Profonde di Versante generalmente evolvono in tempi lunghi e coinvolgono interi versanti con volumi che possono arrivare sull’ordine del miliardo di metri cubi. Non sono contraddistinte da una superficie di movimento specifica, si ha piuttosto una deformazione per micro-fratturazione all’interno di una fascia più o meno ampia dell’ammasso roccioso. La fase deformativa è molto lunga ma può evolvere in una fase parossistica.

Le deformazioni gravitative sono movimenti che tendono a portare in situazione di equilibrio versanti che, per cause diverse, in equilibrio non sono. Una delle cause predisponenti è l'esistenza di una condizione di debolezza strutturale, sia questa a piccola scala, intrinseche al materiale roccioso (scistosità, debolezza coesiva della roccia...), sia a scala medio-strutturale, dipendenti, cioè, dalla storia geotettonica locale e regionale (esistenza di sistemi di fratturazione e faglie). Questo fenomeno viene chiamato "deformazione" e classificato tra i "colamenti" perché in genere, e nelle parti medio-basse, non si individua un vero piano di taglio; quest’ultimo si può trovare limitatamente nella zona sommitale dell’area coinvolta nel fenomeno, in genere è evidenziato da una serie di tagli (emersione di piani di movimento) trasversali alla linea di massima pendenza. Nella parte medio-bassa si verifica, piuttosto, un "rigonfiamento" del pendio verso l'esterno, a compensare la spinta verso il basso delle parti sommitali. Frequentemente, la porzione inferiore, trovandosi essa stessa in un nuovo e locale disequilibrio evolve in vera e propria frana.

L’immagine ripresa dal Livinàl Lonc (fianco destro della Val d’Angheràz) permette di riconoscere una massa anomala spostata in avanti rispetto al fianco della valle e ribassata nei confronti del rilievo soprastante, si tratta di un corpo di frana del tipo deformazione gravitativa profonda di versante. Il canalone detritico chiaro (Val della Civetta) è sviluppato lungo il limite del corpo di frana (foto D.G.). L’immagine ripresa dal Livinàl Lonc (fianco destro della Val d’Angheràz) permette di riconoscere una massa anomala spostata in avanti rispetto al fianco della valle e ribassata nei confronti del rilievo soprastante, si tratta di un corpo di frana del tipo deformazione gravitativa profonda di versante. Il canalone detritico chiaro (Val della Civetta) è sviluppato lungo il limite del corpo di frana (foto D.G.).

L’abitato di Col di Pra

Il paesino di Col di Prà a differenza di Villanova o Forno di Val è formato da case con muri variopinti, costruite con una notevole varietà di rocce. Oltre alla chiara dolomia spiccano conci di arenaria rossiccia (Formazione di Werfen e Conglomerato di Voltago) ma anche rocce magmatiche scure (andesiti, monzoniti, pirosseniti) e calcari bituminosi neri, che testimoniano la complessità geologica della Valle.

Col di Prà è stato recentemente invaso (tempesta Vaia, 29 ottobre 2018) da detriti alluvionali mentre il Rio Bordina ha letteralmente strappato un ponte e scavato un largo canalone fino alla confluenza col Tegnàs.  Fenomeni di questo genere ma ben più devastanti si sono verificati anche in passato.

Col di Prà nel ‘700 ospitava una comunità di contadini, minatori e fabbri. Dalle miniere di ferro ubicate secondo le testimonianze storiche (Giuseppe Alvisi: Belluno e la sua Provincia, 1859) sul Col de la Vena e sulla Stia de Val de Gardès si estraeva la siderite, carbonato di ferro, che veniva trattato in piccoli forni fusori e lavorato nelle fucine appartenenti alla famiglia Crotta a Col di Prà. Indicazioni di carattere geologico e giacimentologico inducono a ritenere che le miniere in realtà fossero ubicate a poca distanza dal T. Bordina sotto il Pian della Vena e alla base della Lastia di Gardès.

Secondo l’Alvisi nell’autunno 1748 in seguito a piogge intense e prolungate dal versante nord-orientale del Monte Piz si staccò una frana (la nicchia di distacco è ancora ben riconoscibile) che andò ad ostruire il corso del Torrente Bordina. Si formò così un lago temporaneo, subito riempito dalle acque provenienti dall’ampio bacino idrografico del T. Bordina. Lo sbarramento crollò all’improvviso e una massa devastante di acque e detriti si abbatté sul paesino rovinando la campagna e alcune case e distruggendo gli opifici, che, necessariamente, erano stati costruiti nei pressi del torrente. Fu proprio in seguito a questo evento che fu costruito il villaggio di Prà in posizione più protetta nei confronti del torrente, ma come abbiamo visto non delle frane.

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